Gianni Paciello è il ventiduenne che domenica scorsa a bordo della sua auto ha travolto e ucciso quattro ragazzi a Sassano in provincia di Salerno. I giornali l'hanno chiamata "la strage del bar". Era ubriaco, Gianni Paciello, la sua Bmw sfrecciava a 140 km/h. In un centro abitato. I pubblici ministeri che ne hanno disposto il fermo hanno ipotizzato nei suoi confronti l'omicidio volontario, un reato da ergastolo. Ieri, la doccia freccia, peraltro prevedibile. Il giudice per le indagini preliminari ha modificato il capo di imputazione: non più omicidio volontario, bensì omicidio colposo plurimo. E sono pagine di un copione letto e riletto. E' raro, rarissimo che chi uccide al volante passi anche un solo giorno tra le mura di una cella. Nella maggior parte dei casi le alchimie processuali determinano condanne inferiori ai tre anni. Il che significa niente carcere. E la possibilità prima o poi di tornare a guidare. Tutto questo mentre la politica continua ad annunciare riforme roboanti restando però impantanata in un immobilismo che offende e ferisce chi sulle strade ha perso un figlio, un genitore, un amico. Ne parliamo con Giannina Calissano, la mamma di Stella, la bimba di nove anni uccisa sulla Nettunense il giorno di Santo Stefano da un uomo senza patente e sotto l'effetto di alcol e cocaina. E con Domenico Musicco, il presidente dell'Associazione Vittime degli incidenti stradali e sul lavoro.